Ti ho mai detto che ti amo?

In Corea adesso è il 19 ottobre. Mezzanotte è passata da poco là. Mia figlia starà ancora sbuffando con aria incazzosa lo smog di Seoul, mentre continua a smadonnare s’un lavoro affidatole recentemente che la sta facendo impazzire. Traduzioni di manga dal coreano all’italiano; questo lei fa, adesso, mentre studia là. Ora in Corea è già il 19 ottobre che, se fosse da noi, sarebbe già Santa Laura. Così si chiama mia figlia, Laura. Quando ero incinta, mia suocera mi passava pizzini dove scriveva nomi coi quali, secondo lei, avrei dovuto battezzarla. Tutti nomi di merda, pace all’anima sua. Come lei, anche altri mi suggerivano nomi osceni. Io ne avevo in mente solo uno, inventato da me: Ashnae. Per me significava “cenere di luna”. Fosse mai che qualcuno un giorno avesse deciso di darle fuoco, io già avevo il nome… ‘nzisàmmai… Da bambina, invece delle favole, mia figlia mi chiedeva di raccontarle come avevo scelto il suo nome. La storia non cambiò mai. Solo le bugie cambiano. Era metà giugno. Avevamo fissato il taglio cesareo perché era podalica. Non ne voleva sapere di uscire con la testa. O di uscire e basta, forse. O magari ero io che non volevo che uscisse perché adoravo essere incinta. Boh… Fatto sta che mi trovavo nel corridoio della Mangiagalli, in attesa del monitoraggio quotidiano. Mattinata fulgida, fresca, tiepida. Estate meravigliosa. Luce calda e morbida che s’insinuava tra i vetri dei finestroni per venirti ad abbracciare nel silenzio dei reparti ancora addormentati. Io da sola, a pensare che, a due settimane dal parto, non avevo ancora trovato un nome. Poi, improvvisamente, vidi un bell’uomo camminare frettolosamente nella mia direzione. Ma non era me che cercava. Guardò oltre la panchina di plastica appesantita dai miei 80 chili gravidici e con lo sguardo più innamorato che abbia mai visto nella mia vita chiamò: “Laura!”. Mi voltai e la vidi. Alta, capelli lunghissimi, lisci e chiari, vestita con un lungo e sfarfallante abito bianco, incinta anche lei. Ricambiò lo sguardo innamorato e gli andò incontro, sorridendogli. Era così bella che tutto il resto intorno a lei scomparve. Non la dimenticherò mai. E allora mi dissi: “Che Laura sia”. Buon onomastico, Batata Bulenta.

p.s. metto la foto di te e tuo padre perché senza di lui non saresti mai nata… diamo a Marco ciò che è di Marco… 😁

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