Insegnare l’italiano, e a scriverlo, va bene. Insegnare la scrittura “creativa” è altra cosa. Durante le lezioni di italiano, ai bambini che mi chiedono perché si dice così o perché si dice cosà, spiego sempre in maniera fantasiosa da dove viene quel modo di dire o quel verbo cercando, al contempo, di fare esempi con dei mini racconti. Ne hanno bisogno, loro; e pure io, a dire il vero. Agli adulti (stranieri che faticano a comprendermi perché non padroni al 100% della lingua) dico di non preoccuparsi, che prima o poi ci arriveranno. E loro si fidano, grazie a Dio. Dopo aver insegnato per anni a scrivere (e, a volte, anche a parlare) mi sono ritrovata a insegnare a scrivere ciò che abbiamo dentro al cuore a una classe di persone che sono venute proprio per imparare la scrittura creativa ed è stata un’esperienza meravigliosa e galvanizzante. L’avevo già fatto altre volte con studenti singoli, ma mai avevo avuto una classe. Mai avevo cercato d’insegnare a una classe a scrivere spiegando perché amo le parole e perché vale la pena mettere nero su bianco quando vuoi comunicare adeguatamente qualcosa non solo a chi ami, ma a chiunque. Cos’è la scrittura creativa? Vorrei dire che non lo so. Che quando inizio a scrivere non mi fermo più e che posso inventarti in mezz’ora una storia s’un capello che casca mentre ti fai un massaggio o farti piangere di dolore nel descriverti come ci si sente a morire dentro quando la persona più importante della tua vita non respira più con te, su questo pianeta. Vorrei dire che gli studenti che ho trovato in queste due classi mi hanno arricchita enormemente. Che le loro parole mi hanno meravigliata, che i loro sguardi pieni di voglia d’imparare a convogliare un sentimento tramite una penna mi hanno confermato quello che già pensavo: le parole sono importanti. E l’amore per le parole ancor di più. Abbiamo riso, ponderato, scherzato, discusso, finalizzato dei racconti di 365 parole perché questa era la mia missione (e che non si dica che non ottengo ciò che voglio!). Non so dove mi porterà questo percorso. Una cosa, però, la so: sono felice d’aver reso felice.
