Io sono diga

Te l’ho mai detto che mi manchi ancora, comunque e sempre? Te l’ho mai detto che se pure compio pazzie che mai avrei fatto, prendo strade nuove e guardo cieli diversi per non pensare (e non per dimenticare, bada, perché so benissimo che dimenticare, quel vero dimenticare che ti obnubila mente e cuore per sempre, non potrò mai averlo) resto comunque immobile là dove mi hai lasciata? Immobile come quel gomitolo di Ungaretti che se ne sta quieto, opportunamente obliato, accanto al camino. Immobile come una vecchia bambola di pezza accartocciata su sé stessa che un bambino ha dimenticato all’incrocio di una strada dove s’è fermato per prendere il gelato dal baracchino ambulante che spiega le ali per volare di quartiere in quartiere solo quando arriva il sole caldo e bruciante dell’estate. Immobile come il muschio sulle pietre che volgono a Nord, verso il gelo e l’umidità, il loro lato scuro e… oscuro. Te l’ho mai detto che, da quando non ci sei più, l’indisponenza si è impadronita del mio cuore e non sopporto più di parlare con coloro che non usano i pronomi personali nella maniera adeguata? Te l’ho mai detto che ci sono troppi momenti, davvero troppi… che mi dico oh, meno male che non ci penso più. E sono troppi, sai… perché ogni momento che mi dico che non ti penso, che non mi manchi disperatamente, che non ti maledico dal cuore per avermi abbandonata senza nemmeno avvertirmi è un momento che mi porta a te, ovunque tu sia, dentro e fuori dalla mia anima. E allora lacrime calde s’affacciano sui confini dei miei occhi, ma non tracimano. No. Perché io sono diga adesso, sai? Sì. Come una diga serbo dentro di me il dolore dei nostri sogni non realizzati. Ed è in questi momenti che capisco, purtroppo, che non ci posso fare niente. Allora rimetto la maschera che tutti vogliono vedere. Curvo le mie labbra nel sorriso che tutti s’aspettano ch’io faccia, apro le braccia per accogliere chi ne ha bisogno invece di serrarle intorno a me stessa per abbracciarmi come facevi tu e poi penso che, come dice De André, per tutti il dolore degli altri è dolore a metà.

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